La provvidenza – giugno 2019

EDITORIALE

C’è una domanda che più volte ricorre nella mente di chi, a vario titolo, viene a contatto con l’Opera della Provvidenza: “Ma che grande e bella realtà è questa?” e a corollario aggiunge: “ma non ero a conoscenza di tutto ciò… da quanti anni, quanti siete, ecc.?”. Questa e simili riflessioni sono tanto del visitatore occasionale quanto del familiare preoccupato. Non si vuole peccare di immodestia né ci si vuole esaltare, ma questo inizio “autocelebrativo” (normalmente non nelle nostre corde) non è fine a se stesso ma serve come spunto per una riflessione che, paradossalmente, lascia l’amaro in bocca.

Parafrasando un titolo famoso potremmo parlare della “banalità del Bene”. Se non si ha un cuore di pietra, lavorare al servizio di chi soffre ed è bisognoso di tutto (non solo come modo di dire ma proprio letteralmente) aiuta a lavorare bene a porsi in maniera serena e positiva nei confronti di chi necessita della nostra assistenza, persona con piccole e grandi disabilità o fortemente ammalata che sia. Questa positività, fatta di vicinanza serena e tranquilla dedizione all’ospite (al netto delle piccole e grandi difficoltà di un ente con oltre 600 dipendenti), deborda e si riversa su molti di coloro che arrivano all’Opera, ma ciò accade, grazie a Dio, anche in tantissime piccole o grandi strutture che come noi sono al servizio degli ultimi. Ogni tanto, su esplicita richiesta, portiamo testimonianze su ciò che quotidianamente viene fatto per l’ospite, spesso rendicontiamo la gioia che i benefattori percepiscono quando arrivano da noi (dicendo sempre che tornano più ricchi di come sono venuti), insomma nel nostro piccolo proviamo ad evidenziare la “banalità del Bene”.

E proprio qui scatta la seconda parte della riflessione che porta a chiedersi: come mai oggi non si riesce più a far apprezzare dal punto di vista massmediatico il Bene fatto, o che si tenta di fare? Certo, da sempre è vero che “fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce” ed è giusto non vantarsi del bene compiuto. Forse però c’è un qualcosa di più, c’è la reale difficoltà di contrastare massmediaticamente il nulla o il negativo che ci viene scientemente propinato. I mass media cattolici, comparati ai grandi network mondiali, sono come Davide di fronte al gigante Golia, ma questo non è sempre sufficiente a giustificare il minor charme, la minor capacità di essere influencer per dirla in maniera moderna. Non è un caso che domenica 2 giugno, solennità dell’Ascensione del Signore, ricorrendo la 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni, una delle preghiere dei fedeli recitasse testualmente: “Perché gli scrittori, i giornalisti, i registi e gli operatori della comunicazione nel raccontare il mondo attuale siano sempre attenti e rispettosi della verità e della dignità di ogni persona”. Probabilmente, anzi certamente, la “banalità del Bene” non paga in termini editoriali, televisivi, social, ma basta questo a spiegare questo divario, questo scarto tra una buona novella e un programma sul “grande fratello”?

Che San Francesco di Sales, fondatore delle nostre Suore della Visitazione e anche patrono dei giornalisti, possa davvero illuminare le coscienze a raccontare la verità e la dignità di ogni essere umano e a rendere appetibile mediaticamente anche la “banalità del Bene”.