EDITORIALE
“Distanziamento sociale, distanziamento sociale”: continuamente da marzo è stata suggerita questa fondamentale precauzione che, assieme alle mascherine e all’accurata igiene delle mani, ha contribuito e contribuisce a combattere il coronavirus. Oggettivamente, non è stato facile specie per un popolo latino come il nostro evitare baci e abbracci, ma le medicine, pur avendo un sapore amaro, servono per guarire e vanno prese. Sul “distanziamento sociale” don Luigi Maria Epicoco, giovane teologo, preside dell’Istituto Superiore Scienze Religiose Fides et Ratio ISSR dell’Aquila, ha invece ben sottolineato un piccolo-grande equivoco linguistico che può far riflettere. Secondo il giovane sacerdote, sarebbe più utile e corretto parlare di “distanziamento fisico” dovuto all’emergenza covid e non di “distanziamento sociale”. Il primo messaggio è chiaro: l’indicazione è di tenere un metro o due di distanza fisica dal mio vicino, per evitare un possibile contagio. Mentre, osserva Epicoco, più sibillina è la locuzione “distanziamento sociale” che, pur non auspicandolo, può far pensare a un’interruzione di ogni tipo di legame, quindi qualcosa di più “serio” di un mero isolamento fisico. Questa ambiguità, in una società dove la solitudine in molte situazioni la fa da padrona, non va sottovalutata ed è meglio evitarla.
Anche qui all’OPSA il vivere in una “bolla” o, meglio ancora, in tante piccole “bolle” quali sono diventati i nuclei residenziali, non è stato facile; e non è tuttora facile per nessuno: ospiti, operatori e soprattutto per i familiari. Ora, come si vede nelle pagine interne, passato l’apice dell’emergenza, i nostri ospiti, che devono essere sempre il nostro punto di riferimento, piano piano hanno cominciato a scendere nel parco assieme con operatori ed educatori (per i volontari bisognerà aspettare ancora un po’) per eventi importanti. Primo tra tutti, la chiusura del mese di maggio presso la grotta: è stato bello e significativo che il primissimo momento di comunità sia coinciso con il rosario recitato dagli ospiti di nuovo riuniti davanti all’immagine della Madonna di Lourdes. E altrettanto importante e simbolica è stata la prima celebrazione eucaristica insieme agli ospiti, proprio per la festa di Sant’Antonio. Una messa con la partecipazione dei nostri ragazzi è qualcosa che riempie il cuore: i loro canti non perfetti, il loro “rispondere messa”, non preciso ma fatto con il cuore e non per abitudine, è un momento a cui a malincuore si è dovuto fare a meno durante queste forti restrizioni.
In chiusura, piace sottolineare una curiosa ma eloquente coincidenza tematica in due rubriche e specificatamente “Sant’Antonio” e “I Santi della Carità”. Nella prima, padre Francesco Ruffato commenta sotto diversi aspetti il secondo altorilievo della tomba di Sant’Antonio, avente come tema un marito violento che ferisce gravemente la moglie la quale verrà guarita del Santo. In terza di copertina mons. Morellato descrive la breve vita di Veronica Antal, “una giovane laica, della Romania, martire della purezza”, uccisa perché non volle cedere a un giovane coetaneo. La coincidenza ricorda che, a smentire inesatti luoghi comuni, verso la donna nella Chiesa si trova grande rispetto e attenzione alla sua dignità. E non può essere altrimenti, visto che la salvezza ci viene dal Cristo, “nato da donna”, Maria, Madre del Signore e Madre della Chiesa.