EDITORIALE
Nell’Anno della Famiglia è significativa la decisione di Papa Francesco di affidare a famiglie le meditazioni della Via Crucis al Colosseo. Sono state ben rappresentate le “croci” di cui ogni giorno, più spesso di quanto si creda, le famiglie si fanno carico: malattie, scelte difficili, licenziamenti, disabilità, precarietà, lutti. Situazioni reali, logoranti, estenuanti soprattutto se vissute nella solitudine, senza alcuna speranza o desiderio di aiuto di alcuno o, peggio, nell’illusione di potercela fare da soli, di essere talmente forti da non aver bisogno del sostegno di quel Dio che ha “superato” il venerdì santo e ci aspetta sempre all’alba della Pasqua. Ci piace riprendere per un attimo il loro messaggio.
Tra le varie stazioni della Via Crucis non vi sono situazioni meno importanti o più degne di nota, ma sul nostro mensile, per l’oggettiva vicinanza del tema, vorremmo sottolinearne un paio. La quinta stazione, con le tristi, angoscianti parole che i neogenitori di un bimbo con disabilità si sentono spesso ripetere: “Meglio non farlo nascere, sarà un peso per voi e per la società”. Parole come macigni, un moderno “Crocifiggilo”, oggi come ieri, nei confronti di una vita indifesa, verso genitori impauriti di fronte a un mistero tanto doloroso quanto difficile da accettare se ci si vede soli.
La tredicesima stazione ha avuto i maggiori onori della cronaca, perché imperniata sulla tragica attualità di questi mesi. Il segno dirompente di far portare insieme la croce a una donna ucraina, Irina, e a una donna russa, Albina, ha creato scompiglio, mostrando una prospettiva diversa, cristiana nell’affrontare le crisi. Certo, comprensibili i dubbi dell’ambasciata ucraina in Vaticano e di altre personalità (anche religiose) dell’Ucraina, ma alla fine le due donne (colleghe, se non anche amiche), madri di famiglia, hanno portato la croce insieme, questo è ciò che conta. Se andiamo oltre alla sorpresa e ci fermiamo ancora un momento su Irina e Albina, forse possiamo intuire il segreto del loro portare la croce insieme: sono infermiere in una struttura residenziale di Roma specializzata per la terapia del dolore e dei pazienti terminali. L’opposto di una struttura per il suicidio assistito. Sì, vi sono luoghi che non fanno rumore ma, attraverso i successi della medicina e l’approccio carico di umanità fatto di relazioni e di sguardi, consentono alla persona malata terminale di vivere con dignità e serenamente fino all’ultimo istante terreno.
In questo mese di maggio la Vergine Maria ci aiuti a tenere aperto il cuore per accogliere il dono dello Spirito che il Cristo risorto offre a noi, alla sua Chiesa, all’umanità, come speranza per ogni persona e ogni famiglia.