«Credo che delle classi con caratteristiche separate aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare». Un bel tacer non fu mai scritto: potremmo liquidare così la triste (eufemismo) frase formulata dal generale Roberto Vannacci, candidato alle elezioni europee, durante un’intervista per la presentazione del suo secondo libro. Tenendo presente che in Italia con la legge 517/77 è stato possibile procedere all’abolizione delle classi differenziali per gli alunni svantaggiati, il salto all’indietro che sottende il pensiero di questa dichiarazione non è di poco conto.
Ma liquidando velocemente la faccenda non faremmo un buon servizio in primis ovviamente alle persone con disabilità, sempre al centro del nostro mondo e modo di pensare, e in secundis alle famiglie, agli enti, ai legislatori, insomma alle migliaia di persone che, nei vari decenni, si sono battute per rimuovere, con fatica, la cultura dello scarto di spartana memoria. Il contributo di tutti, ciascuno per le proprie competenze e tempi, è riuscito nei decenni a riconoscere alla persona con disabilità una dignità prima negata, a considerare risorsa la diversità, a far capire che l’inclusione è un segno di civiltà… fino a parlare oggi di imperfezioni di qualità, visto quanto possiamo ricevere e imparare dalle persone fragili se solo lo volessimo.
È giusta e doverosa quindi la levata di scudi per questa frase dettata speriamo solo da ignoranza totale sul mondo della disabilità e fa piacere che almeno una volta le reprimende e le prese di distanza siano state unanimi, forti e a 360°, a incominciare dalla CEI: queste affermazioni ci riportano ai periodi più bui della nostra storia, ha affermato il vicepresidente mons. Francesco Savino, che ricorda anche le parole di Papa Francesco il quale ribadisce sempre che l’inclusione è un segno di civiltà; e belle, nette e chiare sono state le parole di altri vescovi: «la differenza non è un problema ma una risorsa. le classi separate riproducono i ghetti». A onor del vero per un generale che sparla, vi sono anche colonnelli come Gianfranco Paglia, medaglia d’oro al valor militare (che ha perso l’uso delle gambe il 2 luglio del 1993 nella “battaglia del pastificio” a Mogadiscio in Somalia), che ragionano e da militari non usano giri di parole: «Con quelle parole Vannacci ha dimostrato di non sapere nulla sulle persone con disabilità» e di «essere contento che si sia candidato, con la speranza che possa non tornare più a indossare la divisa perché non se la merita». Più chiaro di così!
È proprio vero, la differenza non è un problema ma una risorsa. Regolarmente riportiamo nel nostro periodico le testimonianze di volontari, lavoratori e tirocinanti che colgono come la persona disabile, la persona fragile, con problemi di varia natura possa essere una risorsa importante, una ricchezza per tutti, utile per conoscere se stessi, per capire le reali priorità a cui far riferimento!
Comunque con la sua frase Vannacci una cosa ce l’ha ricordata: che le conquiste fatte in questo campo non sono mai definitive e che spesso, per motivi culturali e soprattutto economici, sono in bilico, vacillano e, certamente, non sono patrimonio di tutti come si spera. Per questo occorre vigilare sulle parole e “fare cultura” sui valori in gioco.