EDITORIALE
È un autunno difficile, molto difficile, per tutti, nessuno escluso. A fine primavera in tanti auspicavamo che il peggio fosse alle spalle, che le maggiori difficoltà fossero state superate… ma, oggi è evidente, non è andata come si sperava. Ed è così un po’ ovunque nel mondo. L’uomo contemporaneo, abituato a tempistiche e dinamiche veloci, forse troppo veloci, ai tempi “zero” di internet, dei social, della iper globalizzazione, anche nel caso di gravi ed enormi emergenze quali una pandemia spera (in buona fede) di giungere in tempi rapidi alla soluzione.
Purtroppo non è così. Purtroppo le cose stanno diversamente: nella storia mai alcuna epidemia ha avuto manifestazioni di brevissimo periodo; mai nella storia la mobilità è stata vertiginosa come oggi, con ciò che ne consegue dal punto di vista della diffusione dei virus; mai è successo che gli studi, per quanto importanti, frenetici e massicci, portassero a soluzioni cliniche decisive nel giro di pochi mesi o, addirittura, di alcune settimane… come pretenderemmo oggi! In questa società iperattiva ci siamo dimenticati ciò che dicevano, saggi, i nostri nonni a proposito delle malattie: el mae vien a stari e el va a onse, il male arriva a “stari” (unità di misura che indica una grossa quantità) e se ne va a “once” (a piccole quantità). Ecco allora che ci scopriamo impotenti, quasi nudi di fronte a questo virus invisibile che ci impedisce di tornare pienamente alla vita di prima, alla vita “normale”.
Qui all’OPSA, tra mille sforzi del personale sanitario in primis, grazie alla tempestività dei protocolli attivati e soprattutto alla Provvidenza, la situazione finora non è mai sfuggita di mano. Agli ospiti, grazie alla situazione continuamente monitorata, tra mille attenzioni e prescrizioni, si è cercato e si cerca di far trascorrere anche questi momenti difficili quanto più normalmente e serenamente possibile. Non è stato e non è facile, anche perché la loro sensibilità e percezione di ogni cambiamento è molto sviluppata e fine, più di quello che si possa pensare. Gli operatori e tutto il personale dei servizi di psicologia, fisioterapia, logopedia ed educativo hanno costantemente lavorato in maniera sinergica al fine di offrire una serenità e stabilità non facili da mantenere anche in un ambiente protetto come il nostro, inglobando le difficoltà dovute al fatto che il contatto con i familiari, fondamentale e umanissimo bisogno di tutti, è ora nuovamente precluso dalle rigorose normative sanitarie.
La loro gioia di vivere comunque non è mai venuta meno, e lo abbiamo potuto constatare quando, prima del secondo momento di restrizioni, abbiamo avuto la visita del vescovo Claudio e del Consiglio di Amministrazione per celebrare, compatibilmente al difficile momento, i 60 anni di attività della nostra Casa. Un’opera della Provvidenza, che vive sotto lo sguardo della Provvidenza e di tanti santi, canonizzati o no, nostri amici e intercessori presso Dio.