La Provvidenza – settembre 2020

EDITORIALE

Settembre andiamo è tempo di migrare… E’ la poesia che nei nostri ricordi di scuola segna l’inizio di una nuova stagione, il ritorno al quotidiano dopo la lunga estate. Mentre scriviamo si avvicina settembre e con esso tutte le preoccupazioni legate all’emergenza sanitaria: ci sarà una ripresa dei contagi? Come sarà l’inizio dell’anno scolastico? Quali ripercussioni avrà nell’economia e nella vita sociale il tempo difficile che abbiamo trascorso? Sono tutte domande che da mesi occupano le nostre teste e sono motivo di preoccupazione per le nostre famiglie. Sarà una ripartenza davvero straordinaria, fuori dell’ordinario. Sarà un autunno sicuramente diverso dagli ultimi scorsi autunni.

Associato a questo vi è poi il pensiero dei nostri cari accolti nelle residenze sanitarie: ora che abbiamo ripreso, in tutta sicurezza le visite dei familiari siamo anche consapevoli del prezzo che gli anziani e i nostri ospiti disabili hanno pagato in questa pandemia: la rinuncia a un bacio, a una carezza, e persino al sorriso della persona cara, velato dalla necessaria mascherina che a volte rende incomprensibili pure le parole.

Abbiamo raccolto in queste prime settimane di riapertura dei colloqui con i familiari, a quarantena finita e spazi riaperti, le attese e le preoccupazioni, le gioie e le speranze dei nostri ospiti e dei loro familiari. Incontri avvenuti previo appuntamento e solo per un quarto d’ora nel giardino del padiglione o, in caso di maltempo, in un luogo predisposto a garantire il necessario distanziamento sociale. Il distacco fisico si è fatto sentire e con difficoltà a volte gli operatori sono riusciti a far mantenere le giuste distanze. Il colloquio, per chi era in grado di sostenerlo era molto semplice: “come stai? Mangi? Come vanno le tue gambe, i terapisti ti fanno camminare? E ti diverti ancora con gli educatori?” Ci si saluta poi con un ciao con la mano spiegando che non ci si può abbracciare proprio perché ci si vuole bene e ci si vuole preservare da questa pandemia. Più di qualche volta abbiamo visto le lacrime scorrere veloci sulle guance. Solitudine, paura, senso di abbandono sono le altre ferite lasciate nell’animo degli anziani dall’esperienza del lockdown. Per non parlare delle difficoltà della chiusura, del tempo da occupare, dei lunghi silenzi interrotti ogni tanto da “non ce la faccio più,…”.

Qualche familiare ha preferito posticipare anche l’incontro in presenza, consapevole della difficoltà di non saper rinunciare ad un contatto fisico, ad una carezza e ha preferito continuare con le videochiamate.

A rompere questo isolamento sono venute in aiuto infatti proprio le videochiamate,  uno strumento indispensabile per riannodare le relazioni spezzate dal distanziamento sociale. Fino a far decidere anche i più riluttanti verso la tecnologia, a utilizzarli per festeggiare un compleanno, per rivedere i nipoti,  per salutare chi non poteva essere vicino . E quando si riusciva brillavano gli occhi.

A far da ponte fra gli ospiti e le famiglie in questo periodo, gli operatori sanitari che dopo mesi di trincea sul fronte emergenza sanitaria, ora hanno dovuto anche traghettare questo primo ritorno ad una piccola normalità: non sempre è stato facile per i coordinatori, gli educatori e le psicologhe trovare le parole giuste, mediare imbarazzati silenzi, compensare la fatica di non abbracciare.

Davvero bravi i nostri professionisti della cura anche in questa fase. Angeli custodi della fragilità, anello di speranza, trama di relazioni.