GLI ANGELI MUSICANTI del BATTISTERO DEL DUOMO di PADOVA
Il Battistero del Duomo di Padova, intitolato a San Giovanni Battista, è un edificio romanico, consacrato nel 1281, è uno scrigno prezioso che custodisce uno dei cicli di affreschi più spettacolari e meglio conservati di tutto il ‘300 padovano, affreschi di recenti riconosciuti dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
L’intera opera pittorica è stata eseguita tra il 1375 e il 1378 in piena epoca carrarese dal pittore fiorentino Giusto de’ Menabuoi; il quale fu chiamato da Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio Da Carrara, Signore di Padova, che assieme al marito aveva scelto l’edificio come luogo di sepoltura andando a modificare anche il precedente impianto.
Le pareti, il tamburo e l’abside del battistero sono affrescate con gli episodi più salienti dell’Antico e Nuovo Testamento e dell’Apocalisse. Ciò che rapisce lo sguardo è la grande cupola che offre la visione di un affollato ma ordinato Paradiso di straordinaria bellezza. Il filo che sottende tutto il ciclo pittorico è la storia della salvezza che inizia dall’alto e all’alto ritorna con l’Apocalisse per la prima volta dipinta per intero.
Al centro della cupola è il Cristo Pantocrator circondato da angeli alati disposti in cerchi concentrici il quale, mentre alza la mano destra in segno di benedizione, con la sinistra mostra le Sacre Scritture in cui si legge “Io sono alfa e omega” tratto dall’ultimo capitolo dell’Apocalisse. Sotto di lui Maria, la Madre di Dio, accompagnata da una duplice schiera di angeli e da un triplice schiera di Santi, creando così un legame simbolico tra Cristo e l’umanità. Si tratta di decine e decine di figure di Angeli e Santi, che vanno a comporre il Paradiso di Giusto de’ Menabuoi.
Appena oltre la cornice iridata, a ridosso della schiera dei Cherubini, nel Cielo della Luna, vi è una serie di angeli munita di strumenti musicali dell’epoca. Proprio gli angeli musicanti sono il soggetto del calendario. Trentaquattro figure che non vanno a formare un’ unica grande orchestra ma dieci piccoli complessi in sintonia tra loro che si alterano ad Angeli non musicanti.
Vielle, ribecche, liuti, flauti avene, tamburi, salteri ed arpe, accostati a due o a tre tra loro per affinità timbriche offrono, al di là dei diversi e complessi piani di lettura, una straordinaria documentazione visiva per la storia della musica al tempo della Padova dei Carraresi e suggeriscono un’ idea di come la musica del Trecento padovano fosse intesa non solo come strumento per di divertimento per la corte carrarese ma parimenti come musica universalis, capace di elevare l’orizzonte del vissuto quotidiano.